Un altro genere di leadership –
Riflessioni da un tavolo di lavoro –
di Astrid de Berardinis
28 Febbraio 2023
Si è svolta a Roma il 2 e il 3 febbraio 2023 presso il complesso monumentale Acquario Romano la due giorni di incontri organizzata da Cinecittà dal titolo Un altro genere di leadership, che hanno affrontato i temi dello spazio, del merito e della cura.
“Un laboratorio per riguardare, reimmaginare e mettere in dialogo le esperienze e le parole delle donne che gestiscono, inventano, dirigono attività dedicate a progettare cultura”. Questo il proposito dell’evento ideato da Chiara Sbarigia, Presidente Cinecittà e dalla Professoressa Daniela Brogi e queste le definizioni offerte alle riflessioni dei/delle partecipanti:
– Lo Spazio: per riflettere su come si realizzi e come possa essere considerata la leadership delle donne, dialogando in modi articolati, differenti e aperti.
– Il Merito: per costruire linguaggio e senso comune sulle risorse delle donne, consegnando al futuro sentimenti di sé e modelli nuovi di confronto e di ascolto.
– La Cura: per abituarsi a un mondo pensato, diretto e “curato” dalle donne, restituendo al concetto di “cura” sostanza pubblica, visibilità sociale e valore culturale, oltre che economico.
Il venerdì 3 febbraio si è svolto un esperimento.
Dopo la prima giornata del 2 febbraio dedicata agli interventi di alcune testimoni di leadership femminile, il venerdì la formula dell’evento cambiava ed erano stati organizzati più tavoli di lavoro, ciascuno composto da un gruppo di donne rappresentanti di una fascia generazionale.
Il tavolo in cui ho avuto l’onore e l’onere di sedere era composto di donne appartenenti alla cosiddetta “generazione X”, in una fascia di età tra i 40 e i 50 anni. La conversazione dei tavoli veniva facilitata da una giornalista che, nello specifico per il nostro tavolo, è stata Alessandra Spinelli del Messaggero e Responsabile inserto “Molto Donna”.
L’esperimento consisteva nel raccogliere le testimonianze di ciascuna di noi intorno ai tre grandi temi di discussione della conferenza. Spazio, Merito e Cura.
Per facilitare la riflessione erano state approntate alcune domande, che qui vi riporto:
– Merito:
1) La tua appartenenza di genere e di età sono/sono state delle pregiudiziali rispetto ai tuoi meriti?
2) Pensi che una donna, in ambito lavorativo, faccia più fatica affinché vengano riconosciute le sue capacità professionali?
– Spazio:
1) Nel tuo ambiente di formazione e di lavoro, hai spazio per crescere professionalmente e fare carriera?
2) Senti di essere trattata alla pari con i concorrenti ed i colleghi?
– Cura:
1) Una donna, per avere potere, deve rinunciare ad avere cura? Quante volte se è capitato hai incontrato questo modo di pensare?
2) Che ne pensi del concetto di cura, in quanto risorsa, non nel senso di servire, assistere, riparare, ma nel senso di dirigere, organizzare?
Obiettivo del tavolo era dunque permettere alla giornalista di osservare un quadro di insieme delle esperienze del gruppo e farne una sintesi, che sarebbe poi stata da lei riportata e confrontata con le sintesi raccolte negli altri tavoli. Il tutto per giungere ad una analisi transgenerazionale di questi temi.
Un compito sicuramente ambizioso e coraggioso, visto il tempo a disposizione, di due ore totali di lavoro.
Al tavolo di lavoro
Mi piace riportare qui alcune riflessioni personali sia sull’esperienza di lavoro in sé e anche entrando nel merito di quello che è emerso o comunque apparso a me del nostro lavoro.
Potersi concedere quello spazio e poter riflettere su questi temi, poterlo fare insieme ad altre donne è stata una grande opportunità ed un grande privilegio.
Nel momento stesso in cui mi sono seduta al tavolo ho riflettuto su come il fatto stesso che potesse esistere ed esistesse questo evento, che qualcuno lo avesse pensato e potuto organizzare, che ci fosse un luogo (bello!) dove svolgerlo, che fossimo state coinvolte come associazione nel mettere insieme il tavolo, che io al tavolo sedessi, fossero tutte circostanze non scontate. Questa è stata la mia prima notazione, che lo spazio a noi dato e da noi preso vanno osservati e vanno riconosciuti e collocati in uno spazio più ampio, contestualizzati rispetto al non spazio, allo spazio altro o altrui. Osservarsi “rispetto a”, serve a vedere il nostro limite, ma anche l’ampiezza del nostro potenziale e del nostro privilegio.
E infatti quello che mi è accaduto, già mentre ci sedevamo e iniziavamo il giro di confronto delle esperienze, è stato che emergessero prepotentemente due nuove temi che a spazio e merito sono fortemente collegati: il PRIVILEGIO e l’ACCESSO.
C’è uno spazio dentro e uno spazio fuori. Spesso chi siede dentro, chi in un dentro è nato (socialmente, geograficamente, culturalmente, familiarmente) non è consapevole di dove si trova. L’accessibilità ad alcune professioni o ad alcune posizioni non va ponderata rispetto a se stessi/e, ma sempre osservata rispetto alla diversità delle condizioni di ognuna.
In un primo momento, nel nostro tavolo mi è sembrato che ci fosse un desiderio ed una richiesta individuale di prendersi il proprio spazio e di parlare di se stesse, delle proprie fatiche e difficoltà rispetto al riconoscimento del merito o alla gestione della cura, rispetto al rapporto con il potere dato o non dato. E in effetti anche io mi ero seduta attendendo il momento per raccontare di me del mio accesso e spazio di lavoro, del mio rapporto con il tema della cura. Però, proprio appena consegnata la mia esperienza individuale al gruppo, e a mano a mano che ascoltavo le altre esperienze mi sono resa conto che non mi interessava proprio più parlare di me. Ed è emersa una nuova riflessione che considero evoluzione del fatto che mi ero presa uno spazio: ho iniziato a sentire l’importanza del TEMPO.
Tempo e spazio, sono inscindibilmente legati forse perché dello spazio si fa esperienza solo con il movimento (che ne consente l’esplorazione) ed il movimento implica una progressione (ed ecco che la progressione diviene temporale). Improvvisamente ho sentito che il tempo era prezioso, che stavamo parlando spesso di storie passate e che forse per alcune c’era il rischio di ripetere una narrazione stantia, cristallizzata. Che guardando solo alla propria storia si resta ferme, che invece mettere in movimento le storie provoca una progressione. Che non fosse più tempo di raccontarci le nostre storie più simili, ma tempo di aprirsi e di accogliere altre storie. Torna quindi di nuovo a gratitudine per la presenza di una molteplicità e una diversità di esperienze.
La nuova parola che mi è venuta in mente è stata PONTE. Appurata la propria storia, considerato lo spazio, visto il suo perimetro, mi sarebbe piaciuto parlare di come aprirsi a creare un passaggio e uno scambio… ma purtroppo il tempo in quella sede è terminato dopo le due ore e questo è il lavoro che ho riportato con me come compito di sorellanza e dialogo con la diversità.
Invito quindi anche voi a leggere le domande, a provare a rispondere ma a non farlo da sole. A farlo invitando professioniste (o professionisti) quanto più diversi da voi mettendo in circolo e in movimento la vostra storia perché diventi il limite, l’incontro o lo scontro con la diversa storia altrui. Forse il senso del nostro lavoro come associazione nell’aprirci ad altre narrazioni, ad altri punti di vista è pronto per un salto di ulteriore maturità.
E voi, come avreste risposto?
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