Corpo a Corpo: il documentario
su una campionessa
che ha molto da insegnare
– di Claudia Catalli
30 Ottobre 2021
Una ragazza, le sue sfide, i suoi desideri, le sue ambizioni. La stessa ragazza, un corpo, le cicatrici, le ferite. E’ nell’unità inscindibile di mente e corpo che viene raccontata, con delicatezza e garbo, l’atleta della nazionale paralimpica di Triathlon Veronica Yoko Plebani in Corpo a Corpo dell’esordiente Maria Iovine.
Un lavoro profondo di esposizione e messa a nudo, che parte dall’evidenza di un corpo segnato dalla malattia (la meningite batterica che l’ha colpita a 15 anni) e visto come ‘diverso’ dagli spettatori mediamente normodotati. Spettatori che il documentario sfida bonariamente, ma apertamente, nel mostrare senza esitazione alcuna un corpo che ha subito amputazioni importanti, eppure capace di muoversi con più agilità e forza di tanti altri corpi apparentemente perfetti, contenitori spesso finti di anime altrettanto artefatte.
Un corpo di donna, soprattutto, sfida lo sguardo di chi non vede che la superficie: Veronica ironizza su chi sottolinea la sua bellezza, prima ancora che il suo talento sportivo, e sceglie di posare nuda (non nel film, ma nei servizi fotografici che le propongono) per offrire allo sguardo la sua normalità, che fa implodere ogni riduttivo o omologato canone di bellezza. E’ splendida Veronica raccontata da Maria, in un corpo a corpo anche narrativo fatto di reciprocità, ascolto e condivisione sorella. Diventa un simbolo vivente, di chi non considera affatto le sue protesi come un limite, semmai un’estensione di vita. Di chi non guarda alla vita pensando a ciò che manca, ma a quante occasioni può offrire, con la fame e il desiderio di viverle tutte d’un fiato, come si fa a 25 anni. Veronica va a ballare anche se non può, esce con le amiche, discute con la madre che la vorrebbe “più coperta”, si fa sanguinare un piede pur di provare le nuove protesi. “Pazienza, tanto ho l’altro” dice, perché per lei il dolore, la fatica, il sudore, sono compagni quotidiani di avventure.
Laureanda in scienze politiche con una tesi sui diritti delle atlete, sogna le Paralimpiadi di Tokyo, ma deve attendere, come tutti, causa pandemia. Ci arriverà, vincendo una medaglia di bronzo strepitosa, ma al momento del documentario tutto questo non lo sa. Non sa se le farà davvero queste agognate Paralimpiadi, eppure nella sospensione del non sapere si tuffa a capofitto nei suoi allenamenti, dimostrando a chi guarda, senza ombra di retorica, che la sua dedizione, la sua tenacia, la sua fiducia cieca in un futuro che si crea ogni giorno con la sua sola forza, valgono molto più che una medaglia.
Brava Veronica, e brava Maria a raccontarcela in maniera così sobria, autentica e vera.
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